Una lunga passeggiata fino alla cresta Tartaro-Meta


V giornata spirituale “Sulle orme di Zi Prete” Ventidue persone, amiche, amiche degli amici, amiche di Aria Sottile e amiche della montagna hanno condiviso il tentativo di dare una risposta alla domanda più antica dell’uomo, “chi sono, dove voglio andare, da che parte voglio stare?”. Diego l’ha formulata ufficialmente in “Di che mentalità sono io?” riferita alla posizione che ognuno di noi prende nei confronti di Dio e della sua presenza all’interno della nostra vita. Siamo un gruppo di appassionati di montagna, scriviamo di argomenti di montagna su questo luogo virtuale comune di incontro e condivisione che è un sito web , verrebbe da rispondere in maniera spontanea che ce ne andiamo in giro condividendo questa passionaccia per cercare di raggiungere nuovi traguardi, nuovi sentieri. In questa particolare occasione due vette importanti del PNLAeM e delle Mainarde, il monte Tartaro e la Meta. Invece, oggi, la montagna nel suo sconfinato immaginario di significati era solamente la location ideale per andare a cogliere il senso delle ricerche interiori che Diego aveva proposto e il luogo ideale per andare a respirare l’eredità lasciata da un uomo che su queste montagne si è prodigato in insegnamenti. Eravamo nei “luoghi di Zi Prete”, al secolo Padre Rosin, luoghi che evocavano ancora , in chi aveva avuto la fortuna di conoscerlo, emozioni forti e un prezioso senso di riconoscenza. Diego ha costruito, come tutti gli anni in questo periodo, una giornata ricca di spunti e riflessioni, tratti dalla lettura di testi sacri e dalle memorie lasciate da Zi Prete, tutte atte a dare sostegno per cercare di trovare risposte alla domanda centrale della giornata che vogliamo costruita sulla socialità, sulle soste per trarre indizi utili alla ricerca e su lunghi tratti di cammino per riflettere in solitudine o con chi ti stava accanto. E tutto dominato, inserito, alimentato nella e dalla silenziosa presenza delle montagne delle Minarde. Ognuno di noi ha vissuto la giornata come ha voluto, partecipando o assistendo solamente, completando il tragitto pianificato o deviando senza concluderlo per reincontrarsi poi. Della montagna alla fine è rimasto il giusto, lo sforzo sudato della conquista, il piacere per molti di aver toccato cime nuove, quello per tanti di aver rivissuto ricordi e l’essenza di “Zi Prete” che, mi pare di aver intuito, mai è sparita e mai sparirà da quei luoghi ed il piacere di avere affidato al vento che soffiava fresco su quelle cime l’intenso senso di serenità quando lo sguardo si allungava sulla vastità degli Appennini. Non era la prima giornata organizzata e dedicata a “Zi Prete”, Diego in sintonia con Aria Sottile è già al quinto appuntamento sulle sue amate montagne e quelle amate dal suo padre spirituale; chi volesse conoscere meglio la storia di questo sacerdote e di questa iniziativa può scorrere i racconti delle giornate degli scorsi anni all’interno di questo sito. Ciò che in questa occasione mi è rimasto dentro, oltre gli spunti di riflessione che con tutti ho potuto vivere, è la nuova, più potente consapevolezza della figura di questo uomo di Dio. In questa giornata rispetto alle precedenti, si sono aggiunti i vecchi amici di Diego, i compagni dei campi scuola organizzati sulle “orme di Padre Rosin”. Tre generazioni di studenti prima, e responsabili di campo poi, hanno camminato e ricercato il loro Padre. Con tutti ho potuto scambiare impressioni e vivere racconti di spezzoni di vita di questa grande figura non solo sacerdotale ma anche, e forse, soprattutto umana. E in questa giornata più di sempre ho sentito la grande presenza tra noi, del suo operato. L’evento si è concluso con una messa concelebrata sull’altare di ciò che rimane del vecchio campo scuola; un momento vissuto intensamente nello spirito di tutti e negli occhi dei miei compagni ho visto la luce di un momento di vita passata che ha lasciato segni indelebili. Il cielo si è poi chiuso su di noi, solo il tempo di un saluto frettoloso tra i pochi rimasti ed un cordiale arrivederci al prossimo anno. La montagna, il Monte Tartaro, la Meta, per una volta sono rimaste in secondo piano; presenti nella loro imponenza e soprattutto nelle nostre gambe doloranti hanno fatto da palcoscenico, da sfondo da nastro trasportatore di pensieri emozioni e riflessioni. E forse proprio per questo si legheranno ancora più intimamente dentro ognuno di noi. Il racconto della giornata è solo un dettaglio. Partiti da Prati di Mezzo si è saliti, alle spalle del rifugio, ristorante “Il baraccone “ seguendo il sentiero che sale alla Meta. Faggi secolari stupendi di un verde appena apparso erano il preludio della giornata. Nelle radure che si aprivano tra gli alberi gli indigeni del gruppo mi hanno fatto conoscere gli Orapi, anche detti spinaci di montagna, endemica pianta di queste e poche altre montagne degli Appennini. Fino a quel momento avevo solo avuto la fortuna di assaporarli al ristorante. All’ingresso del Vallone della Meta in una radura si è svolta la prima tappa di riflessione. Poi non abbiamo percorso il classico Vallone del Meta ricco di scheletri legnosi fulminati da chissà quale potenza dei temporali , ma ci siamo diretti verso Torretta Paradiso. Un irto sentiero con ripide svolte è salito velocemente alle radure superiori, una lingua di neve, ed eravamo in vista della sella dove una croce posta proprio da Diego e dai sui amici testimoniava il punto per eccellenza dove Padre Rosin amava fermarsi a rimirare la natura e a riflettere. La seconda tappa della giornata era d’obbligo che si svolgesse in questo luogo. Ci siamo poi mossi per una rapida puntata sullo scoglio di Torretta Paradiso dove si gode un panorama immenso fino al Bellaveduta e al Petroso, il Tartaro e la Meta sono lì dietro che sembra di poterli toccare, ma da dove soprattutto si domina il vuoto fino alla valle, al lago e al Santuario di Canneto. Quasi novecento metri di salto vertiginoso nel vuoto, uno scoglio dove solamente i camosci riescono a stare a proprio agio. La terza tappa si è svolta su questo sperone lanciato verso il cielo. Una veloce discesa in una tardiva lingua di neve, da qualcuno utilizzata letteralmente come scivolo su cui divertirsi come al parco giochi ci ha portato all’imbocco della Valle del Cavallaro. Facile a dirsi e a pensarsi quando la si dominava dalla Torretta Paradiso quanto interminabile una volta che ci si trova dentro. Un pietraia che scende direttamente dalle coste del Meta e del Tartaro, assolata, deserta, infinita. Alcuni , i vecchi amici di campo scuola di Diego si sono divisi da noi puntando subito la Meta, altri che dovevano essere a Roma in tempo utile si sono arrampicati direttamente in cresta sfidando l’agilità dei camosci. In pochi ci siamo attraversati la valle, chi sfidando le pietraie e per questo scegliendo una traiettoria alta per rimanere in quota, chi continuando sul più tranquillo ma più basso sentiero di valle. Tutti ci siamo incontrati sulla spalla ovest del Tartaro, il punto più accessibile per una salita che non sfidi la precarietà dei ghiaioni e della gravità. Sulla spalla, di fronte alle Coste dell’Altare, in vista del Balzo della Chiesa, nel cuore delle valli abitate dall’orso del Parco abbiamo consumato la quarta sosta prevista. Molto vissuta ricordo, molto dibattuta. Poi una salita col cuore in gola e mentre il sole spariva tra le nuvole sfilacciate portate da un vento ora fresco giungevamo in vetta al Tartaro attesi per un fuggevole saluto da chi doveva scappare in tempo per tornare a casa. Il vento ci ha impedito di svolgere la quinta tappa in vetta; anzi le nuvole che avevano ormai nascosto tutti gli orizzonti ci stavano facendo scegliere il ritorno per la collaudata via dell’andata e rinunciare così alla bellissima cresta fino al Meta pregustata fino a pochi minuti prima. Per fortuna la goliardia degli irriducibili insieme alla poca voglia di lasciare quel luogo hanno fatto si che iniziassero una serie di racconti delle avventure di montagna che ognuno di noi ha avuto la fortuna o sventura di vivere . Il tempo è volato ed insieme a lui si sono sfilacciate anche le nuvole. La cresta fino al meta ora era di nuovo ben visibile; la voglia di percorrerla ha fatto rompere gli indugi, una sorta di Carpe diem ci ha mosso verso quella linea sottile. E la montagna si è compiuta su quella linea; di certo percorrere quella stretta soglia è stato il momento più bello ed intenso del contatto con la montagna di tutta la giornata. E su quella cresta, in un angolo riparato dal vento abbiamo consumato la nostra quinta tappa prevista da Diego. Fino al Meta solo passaggi semplici su neve e su roccia che hanno reso ancora più interessante questa parte di percorso. In cima, al cospetto delle due croci del Meta la sorpresa di ritrovare una parte della comitiva, gli amici di vecchia data di Diego, che al riparo dal vento dentro una specie di cratere tra le rocce avevano dato fondo alle abbondanti scorte alimentari che si erano trascinati fin lassù. E lì, nello stesso luogo del bivacco abbiamo vissuto forse il momento più intenso della giornata. La sesta tappa. La vetta, l’intimità che regalava quella formazione rocciosa e che ti separava dal mondo intorno a te, la serenità nei visi di tutti i partecipanti di quel momento, il desiderio di ascoltarsi e di scoprire se stessi. L’uomo che si confonde nel vivere comune di tutti i giorni e che si ritrova, felice di farlo, in un punto isolato, altissimo sul mondo, e lontano dal mondo stesso. Che stranezza, vero?. Nel frattempo il vento è diventato gelido, le rocce non bastavano più a difendersi dal freddo che si insinuava dentro di noi; era arrivato il momento di scendere. Un ultimo incontro ravvicinato con un branco di camosci sui pendii della montagna a regalare un altro momento di intimità con la natura e ci siamo infilati veloci dentro il Vallone del Meta. Scheletri di alberi che hanno lottato con i fulmini ci hanno segnato la strada . Il Baraccone è arrivato presto, non rimaneva che terminare la giornata col momento clou voluto da Diego, la messa a ricordo del suo amato padre nel luogo e sull’altare che per tanti anni è stato il suo momento di ricerca.